Le associazioni a tutela dei consumatori possono esercitare azioni contro atti pregiudizievoli per la protezione dei dati personali, indipendentemente dalla violazione concreta del diritto di un interessato e anche in assenza di un mandato specifico, purché ritengano che il trattamento di dati in questione sia idoneo a pregiudicare la privacy.
Questo principio, affermato dalla Corte UE nella sentenza 28 aprile 2022 (causa C-319/20 - Meta Platform Ireland) di fatto legittima le class action a tutela della privacy, facendo valere la violazione del divieto di pratiche commerciali sleali, la violazione di una legge in materia di tutela dei consumatori o la violazione del divieto di utilizzazione di condizioni generali di contratto nulle, qualora il trattamento di dati in questione sia idoneo a pregiudicare i diritti riconosciuti dal regolamento UE 2016/679 sulla protezione dei dati a persone fisiche identificate o identificabili.
È un sentenza importante che conferma la legittimazione ad agire, in capo alle associazioni, quando ciò sia stato riconosciuto dall’ordinamento nazionale, anche successivamente all’entrata in vigore del GDPR.
Nel caso specifico una corte nazionale si è chiesta se, dopo l’entrata in vigore del Regolamento UE 2016/679 sulla protezione dei dati personali (il c.d. GDPR), una associazione consumatori abbia il potere di agire in giudizio per violazioni di tale regolamento, anche in assenza di un effettivo danno per gli interessati e in mancanza di un mandato.
La Corte UE, rispondendo alla questione pregiudiziale sollevata dalla Corte nazionale, ha affermato che il GDPR non osta ad una normativa nazionale che riconosca a un’associazione di consumatori di agire in giudizio, in assenza di un mandato specifico e indipendentemente dalla violazione di specifici diritti degli interessati, contro il presunto autore di una violazione della privacy.
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25/05/2022 - Ufficio Stampa ACP
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