Nuove regole sui sacchetti biodegradabili della spesa.
L’entrata in vigore delle nuove norme sui sacchetti biodegradabili della spesa alimentare è diventata un caso nazionale. Proviamo a fare un po’ di chiarezza e qualche riflessione sulla vicenda.
Premessa
La materia è semplice solo in apparenza poiché si tratta di armonizzare esigenze di diversa natura. In secondo luogo anche la mera descrizione delle varie tipologie di borse (materiali, spessore, forma e altre caratteristiche) è piuttosto difficile da capire se non si è esperti del settore.
Obiettivo principale e dichiarato è quello di tutela dell'ambiente ma vi sono altri importanti fattori da tenere in conto nell’interpretazione della norma:
• Tutela della salute e sicurezza alimentare;
• Tutela dei consumatori, sia come libertà di scelta sia come protezione da eventuali speculazioni;
• Interessi economici dei produttori delle borse;
• Problemi organizzativi dei venditori.
Fare quadrare tutti questi aspetti è piuttosto complesso. La tutela dell’ambiente vorrebbe che si producano e utilizzino meno sacchetti possibile e che siano di materiali poco inquinanti e possibilmente riusabili.
La tutela della salute e la sicurezza alimentare impone però delle cautele per quanto riguarda la possibilità del riuso.
I consumatori vorrebbero pagarli il meno possibile, soprattutto tenuto conto che non si tratta di una scelta libera ma divenuta obbligatoria per legge.
I produttori dei sacchetti vorrebbero venderne il più possibile e al prezzo più alto possibile (cosa assolutamente legittima dal loro punto di vista ma che spesso si tende a dimenticare).
I venditori (che prima li distribuivano gratis caricando il costo sul prezzo degli altri prodotti) devono a loro volta spiegare ai clienti (che non erano abituati a pagare i sacchetti) le nuove regole e riorganizzare le procedure interne col minor costo possibile.
Insomma, è chiaro che se si tira coperta da un lato si scopre dall’altro e qualcuno finirà per lamentarsi.
Una norma scritta malissimo
Partiamo dal dato normativo con una considerazione generale di carattere giuridico: le nuove norme, a causa della pessima tecnica legislativa utilizzata, per esser lette necessitano di una complessa e non immediata opera di taglia/copia/cancella/incolla sulla vecchia legge.
Il legislatore ha scelto infatti (probabilmente per la fretta di trasporre una direttiva UE evitando di incorrere in sanzioni) di non intervenire direttamente sulla norma preesistente (decreto legislativo 3 aprile 2006 numero 152) ma di modificarne e integrarne singoli articoli o commi tramite la legge numero 123/2017 (conversione del decreto legislativo 91/2017, il cosiddetto “Decreto Mezzogiorno”).
In questo modo si è però creato un complicato gioco di rimandi tra le varie norme e resa complicata e disagevole la comprensione anche per un addetto ai lavori. Dulcis in fundo, anche dopo essere stato ricostruito, il nuovo testo è di difficile lettura e interpretazione perché scritto nel più fastidioso ed incomprensibile linguaggio burocratico-tecnico-legale.
Il caos interpretativo
Approvata la legge in sede interpretativa si sono aggiunte note e pareri di tre diversi Ministeri:
Ministero dell’Ambiente;
Ministero della Salute;
Ministero dello Sviluppo Economico.
Ciascuno ministero ha valutato la norma per gli aspetti di sua competenza ma nessuno ha potuto e voluto farlo in modo definitivo e vincolante.
Infine si sono aggiunte contrastanti informazioni presso i punti vendita, dichiarazioni di politici, comunicati di associazioni ambientaliste e dei consumatori, centinaia di articoli sui giornali e servizi tv e l’inevitabile diluvio di commenti sui social media.
La reazione dei cittadini
L’opinione pubblica, data la vicinanza con le elezioni e la prevedibile strumentalizzazione politica, si è subito divisa tra critici e sostenitori. Alcuni hanno accolto le nuove norme con favore (la tutela dell’ambiente è un argomento molto sentito) altri invece ne hanno sottolineato, in modo più o meno corretto, limiti e difetti. Date le premesse sopra indicate crediamo sia molto superficiale dire che si è voluto montare un caso dal nulla e che non vale la pena protestare per pochi centesimi perché altri sarebbero i problemi.
A ben vedere un problema di democrazia si potrebbe sollevare: è normale che un gesto quotidiano e banale come usare una busta della spesa diventi un delirio giuridico-burocratico e politici, ministeri, mass media, associazioni e imprese diano ai cittadini informazioni confuse e contraddittorie? La colpa è dei cittadini perché osano criticare mentre dovrebbero essere sudditi ubbidienti?
Tutela dell’ambiente: un modello in crisi?
Essere ambientalisti è bello ed importante però il fatto che vengano sfornate a getto continuo nuove regole su ogni atto di consumo potrebbe portare a una legittima crisi di rigetto. Un modello iper regolatorio che responsabilizza e poi colpevolizza i cittadini è un potente strumento di controllo sociale. Per essere accolto con favore richiederebbe governi popolari e una politica che i cittadini sentano vicina ai propri problemi ed esigenze, non esattamente la situazione odierna.
Soprattutto in materia di tutela dell’ambiente l’impressione è che molti cittadini siano stufi della morale ambientalista di un carrozzone “Save the planet” affollato di ONG, politici, celebrità varie e giornalisti che non sempre paiono un credibile modello di sobrietà di comportamenti.
Conflitti di interesse
Infine, il legame, anche economico, di alcuni partiti e associazioni ambientaliste con imprese di produzione o distribuzione è una delle peggiori fonti di inquinamento politico e di potenziali conflitti di interesse. Andrebbe evitato a ogni costo, invece pare sia diventato motivo di vanto. La demonizzazione del finanziamento pubblico della politica continua a fare danni alla democrazia.